È sufficiente un breve tour del territorio circostante a Kabinda, per scoprire con facilità una presenza lacustre notevole: più o meno dieci laghetti di varie dimensioni, tutti molto pescosi. Il mito che circonda questi laghetti, controllati dai capi tribùo da alcune famiglie, è che in essi vi sia la presenza di spiriti o fantasmi marini capaci di uccidere chi si avventura nelle loro acque.
La pesca viene attuata esclusivamente tramite una specie di messinscena ai bordi del lago, con canne munite di filo lungo al massimo due o tre metri, o attraverso piccole reti con un’ampiezza massima di un metro per cinque di lunghezza. Si tratta quindi di una pesca che raccoglie semplicemente il pesce più piccolo e lascia che quello di grande dimensione di cui più a largo il lago trabocca, muoia di vecchiaia. Accade quindi che si possa morire di fame, mentre il pesce si trova proprio dietro casa, e di povertà pur accumulando una enorme ricchezza nel potenziale naturale che circonda i villaggi. Come direbbe un vecchio adagio, “Morir di sete mentre si hanno i piedi in acqua”. Non c’è nulla di peggio, del rifiuto di vedere ciò che già si possiede.
Per far fronte alla carenza di prodotti freschi, i giovani definiti “musukumenyi”, grazie a porta pacchi collegati alle biciclette, percorrono lunghe distanze, fino all’ex Katanga fra i 500 e 600 km, con grave detrimento per la loro salute, trainando carichi inimmaginabili di pesce affumicato, salato e altri prodotti alimentari, che vengono riversati sul mercato di Kabinda e nel territorio circostante, a prezzi esorbitanti. Molti di questi ragazzi si ammalano e muoiono nel fiore degli anni, poiché spesso gli introiti di questo commercio non sono neppure sufficienti per garantirsi cure adeguate. Rimangono vittime dell’estorsione, di vessazioni e di truffe messe in atto dalle forze dell’ordine e dai diversi servizi statali che incrociano sul loro percorso; capita spesso che non arrivino neppure a mettere insieme il denaro necessario al viaggio successivo, aggravando progressivamente la propria salute fisica: non si alimentano adeguatamente, dormono in giacigli di fortuna, in orari inadatti ed insufficienti, resistono ai sintomi e alle limitazioni imposte delle malattie per evitare le spese necessarie a cure specialistiche oppure ricorrono a metodi di cura tradizionale che sono economici ma inutili.Si tratta di una piaga difficile da fermare attraverso la sensibilizzazione e la presa di coscienza di questi ragazzi, perché come loro stessi dicono, “non hanno altra scelta per sopravvivere”. Ecco perché vorremmo proporre loro una nuova possibilità e fornirgli un’occasione di lavoro, il cui reddito sia più equo e comporti rischi minori per la salute. E questa possibilità si trova proprio alle spalle delle loro case, accanto ai loro stessi villaggi.
L’attuazione del presente progetto potrà diventare uno strumento di salute e benessere, quindi una soluzione ai problemi di malnutrizione e di povertà, ma anche una protezione dei giovani evitando loro la piaga mortale del mestiere di “musukumenyi”. Anche le donne potranno usufruirne: l’acquisto del pesce a buon prezzo nei luoghi stessi di pesca, concederebbe loro un buon margine di guadagno tramite la rivendita sul mercato locale, essendo così di sostegno alle proprie famiglie.